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La c.d. perdita di chance nella lesione al diritto alla salute. La responsabilità solidale di più strutture ospedaliere coinvolte in un sinistro ai sensi dell’art. 2055 c.c.. La prova presuntiva del danno da lesione del rapporto parentale da parte del congiunto della vittima principale. Questi i temi salienti trattati dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 9905 del 13 aprile 2023 (Presidente: Dott. Travaglino – Consigliere relatore: Dott. Vincenti) che ha posto fine ad un lungo contenzioso seguito dal nostro studio per tre gradi di giudizio.

La vicenda

I nostri assistiti che, per ragioni di riservatezza, chiameremo i coniugi “Tizio e Caia”, convenivano avanti il Tribunale di Milano cinque strutture ospedaliere per sentirle condannare al risarcimento dei danni patiti in conseguenza delle condotte colpose ascrivibili ai convenuti, integranti responsabilità̀ sanitaria.

Gli attori deducevano che Caia, nell’arco di tempo tra il 2001 e il 2008, si era sottoposta a vari ricoveri presso le anzidette strutture sanitarie senza che la patologia tubercolare, della quale era affetta, fosse stata correttamente diagnosticata e/o correttamente curata. Di qui, la richiesta dell’attrice di risarcimento del danno biologico, temporaneo e permanente, del danno patrimoniale da perdita di capacità lavorativa specifica, del danno patrimoniale patito a causa del suo licenziamento e, infine, del danno patrimoniale per le spese mediche sostenute; a sua volta, il di lei marito Tizio, chiedeva che fosse risarcito il danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale e del danno patrimoniale derivante dal mancato guadagno conseguente allo status di degenza della moglie.

L’adito Tribunale di Milano, accertata la concorrente responsabilità̀ di ciascun nosocomio nella causazione del danno e respingendo tutte le altre domande, condannava le parti convenute, in solido tra loro, a corrispondere a Caia il risarcimento di tutti danni non patrimoniali dalla stessa patiti (invalidità temporanea assoluta ed invalidità temporanea parziale, danno permanete differenziale con personalizzazione) nonché il danno patrimoniale per le spese mediche e di cure sostenute.

Avverso tale decisione proponevano appello (in via principale o in via incidentale) sia le strutture ospedaliere che i coniugi Tizio e Caia, per ragioni diverse.

La Corte d’Appello di Milano, nel respingere le impugnazioni delle strutture sanitarie ed accogliendo in parte il nostro appello, dichiarava la pari responsabilità̀ concorrente dei nosocomi convenuti in relazione al danno patito da Caia, condannava quest’ultimi, in solido tra loro, a corrispondere alla medesima attrice, a titolo di danno non patrimoniale, una somma superiore rispetto a quella ottenuta nel giudizio di primo grado nonché condannava i medesimi nosocomi, in solido tra loro, a risarcire al di lei marito Tizio il danno da lesione del rapporto parentale.

Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano ha proposto ricorso per cassazione una struttura ospedaliera.

Nel giudizio avanti la Corte di Cassazione si sono costituite due aziende ospedaliere depositando distinti controricorsi con ricorso incidentale.

I coniugi Tizio e Caia hanno resistito con controricorso.

Con l’ordinanza in commento la Corte di Cassazione, in accoglimento delle nostre difese, ha rigettato sia il ricorso principale che quelli incidentali, condannando le strutture sanitarie al pagamento delle spese di giudizio in favore dei coniugi Tizio e Caia.

Nel motivare il rigetto delle istanze avversarie la Corte ha affrontato alcuni temi molto attuali, oggetto di dibattito in materia di malpractice medica, che, in seguito, andremo ad analizzare.

La c.d. perdita di chance nella lesione al diritto alla salute.

Con l’impugnazione le strutture sanitarie avevano denunciato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223 c.c. e 112 c.p.c. per avere la Corte d’Appello di Milano ritenuto che la pretesa risarcitoria di Caia non consistesse in un danno da perdita di chance, così da incorrere in un vizio di ultrapetizione, avendo riconosciuto il risarcimento del danno biologico per lesione della salute.

Secondo le controparti, il giudice d’appello, in applicazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in materia e sulla scorta delle risultanze della c.t.u. medico-legale, avrebbe dovuto dapprima qualificare il danno patito dall’attrice come da perdita di chance e, di conseguenza, dichiarare l’inammissibilità della domanda risarcitoria proposta, giacché essa riguardava soltanto il danno da lesione della salute e non già l’autonoma e distinta pretesa del pregiudizio da perdita di chance, da formularsi espressamente.

Tale assunto non è stato condiviso dalla Suprema Corte la quale ha affermato che, alla luce di orientamento della Corte medesima (tra le altre: Cass. n. 5641/2018; Cass. n. 28993/2019; Cass. n. 12906/2020; Cass. n. 2261/2022; Cass. n. 25886/2022), la perdita di chance a carattere non patrimoniale per la lesione del diritto alla salute da responsabilità sanitaria consiste nella privazione della possibilità di un miglior risultato sperato, incerto ed eventuale (la maggiore durata della vita o la sopportazione di minori sofferenze) conseguente – secondo gli ordinari criteri di derivazione eziologica – alla condotta colposa del sanitario ed integra evento di danno risarcibile (da liquidare in via equitativa) soltanto ove la perduta possibilità sia apprezzabile, seria e consistente.

A tal riguardo l’attività del giudice deve tenere distinta la dimensione della causalità da quella dell’evento di danno e deve altresì adeguatamente valutare il grado di incertezza dell’una e dell’altra, muovendo dalla previa e necessaria indagine sul nesso causale tra la condotta e l’evento, secondo il criterio civilistico del “più probabile che non”, e procedendo, poi, all’identificazione dell’evento di danno, la cui riconducibilità al concetto di chance postula, come detto, una incertezza del risultato sperato e non già il mancato risultato stesso, in presenza del quale non è lecito discorrere di una chance perduta, ma di un altro e diverso danno.

La chance, quindi, si sostanzia nell’incertezza del risultato e la perdita, ossia l’evento di danno, si identifica proprio in ragione di questa insuperabile dimensione di incertezza, predicabile alla luce delle conoscenze scientifiche e delle metodologie di cura del tempo (le c.d. leggi di copertura).

Tale evento di danno è risarcibile a seguito della lesione di una situazione soggettiva rilevante e non già direttamente in base a quella relazione causale tra condotta ed evento che la prevalente giurisprudenza in tema di “chance patrimoniale” ritiene operante, sin da questa fase dell’accertamento, secondo i canoni della probabilità rispetto al risultato sperato. Quest’ultima analisi si colloca invece a valle dell’evento-danno.

Dunque, poiché la chance è “possibilità di …”, il suo connotato consustanziale si rinviene nel concetto di “incertezza eventistica”.

Nella specie, la Corte d’Appello di Milano ha accertato che Caia, in conseguenza delle condotte colpose ascrivibili ai nosocomi convenuti, ha subito un “danno alla salute e, più precisamente, un danno di tipo iatrogeno”, ponendo in rilievo, anche alla luce della citata giurisprudenza (segnatamente, Cass. n. 5641/2018, richiamata in sentenza), le “maggiori sofferenze fisiche e spirituali” dall’attrice patite per esser stata la salute stessa “gravemente inficiata” da errori medici, ossia una serie collegata di episodi di malpractice che ne “hanno concorso a determinare la lesione”, con “progressivo generale peggioramento delle condizioni di vita” nel periodo di invalidità temporanea”.

In tal senso, ossia in termini di danno da lesione della salute e non di perdita di chance, sono le stesse riportate conclusioni della c.t.u. medico-legale, in forza delle quali a carico di Caia è residuato un ingente danno biologico permanente, nonché una invalidità temporanea assoluta e parziale di svariati anni.

Secondo la Cassazione, non è, quindi, apprezzabile alcun errore giuridico nella valutazione della Corte d’Appello di sussunzione del fatto accertato nella normativa di riferimento (artt. 1218 e 1223 c.c.) e, quindi, nella statuizione conseguente di riconoscimento di un danno biologico, temporaneo e permanente – ossia un pregiudizio che viene ad integrare un danno non patrimoniale conseguenza di una lesione certa, reale ed effettiva – e non già di un danno da perdita di chance. Né, pertanto, è fondata la doglianza di ultra-petizione, avendo il giudice di appello accolta la domanda così come proposta, ossia di lesione della salute in conseguenza degli errori medici ascritti ai nosocomi convenuti.

La responsabilità solidale di più strutture ospedaliere coinvolte in un sinistro ai sensi dell’art. 2055 c.c..

Con l’impugnazione le controparti hanno anche lamentato la violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 103 c.p.c. e 2055 c.c. per avere la Corte d’Appello di Milano errato nel rigettare sia la richiesta di separazione dei giudizi che l’istanza di rinnovazione della c.t.u. medico-legale e, di conseguenza, nel ritenere tutti i nosocomi convenuti solidamente responsabili dell’evento di danno lamentato in giudizio.

Secondo gli avversari il giudice d’appello avrebbe dovuto, anzitutto, procedere alla separazione dei giudizi ex art. 103, c.p.c. non sussistendo, nel caso di specie, “tra le domande nessuna connessione” per titolo, oggetto e identità/comunanza di questioni. La omessa separazione dei giudizi avrebbe conseguentemente determinato l’errore nella qualificazione della responsabilità di tutti i nosocomi convenuti come solidalmente concorrente ai sensi dell’art. 2055 c.c., non considerando che la “diversità e la distanza temporale delle condotte poste in essere dai vari ospedali” impediva la configurabilità dell’univocità del fatto dannoso richiesta dalla su menzionata disposizione.

Sempre secondo la difesa delle strutture ospedaliere, la Corte d’Appello avrebbe, infine, errato nel disattendere la richiesta di rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio avanzata dalla parte appellante e nel concludere per la presunzione di uguaglianza delle quote di responsabilità a carico dei singoli nosocomi, adottando al riguardo una motivazione affatto carente e acriticamente adesiva alle conclusioni della c.t.u., senza prendere in esame le osservazioni critiche ad esse mosse dai consulenti tecnici di parte e riportate nei motivi di appello.

Ma anche tali doglienze non sono state ritenute meritevoli di pregio dalla Suprema Corte.

La Cassazione ha, infatti, ribadito che è principio consolidato quello secondo il quale l’art. 2055 c.c. detta una norma sulla causalità materiale – integrata alla luce dei principi di cui all’art. 41 c.p. – per la cui applicazione è sufficiente l’accertamento circa la riconducibilità causale del medesimo “fatto dannoso” ad una pluralità di condotte.

In particolare, la configurabilità di una forma di responsabilità solidale nel caso in cui più condotte abbiano concorso alla produzione del medesimo evento di danno rinviene la propria ratio nell’esigenza di tutelare la posizione del danneggiato: ai sensi dell’art. 2055 c.c. (e dell’art. 1292 c.c.), infatti, quest’ultimo potrà avanzare richiesta di risarcimento dell’intero danno patito a ciascuno dei condebitori solidali.

La ratio sottesa alla disposizione in esame consente, quindi, di rilevare come, ai fini della sua applicazione, sia sufficiente accertare il nesso di causalità materiale tra la pluralità di condotte colpose e l’unico “fatto dannoso”; irrilevante è, viceversa, che l’evento di danno sia stato determinato da condotte illecite sulla base di un differente titolo (contrattuale e/o extracontrattuale) ovvero da condotte distinte e autonome sul piano fattuale (tra le molte, più di recente, Cass., S.U., n. 13143/2022).

E’, dunque, irrilevante che (come nella specie) la pluralità di fatti causativi del danno sia caratterizzata da condotte tra loro autonome sul piano storico; è sufficiente, dunque, che esse concorrano (secondo il principio della equivalenza delle concause non interruttive di cui all’art. 41 c.p.) alla produzione del medesimo evento di danno. Per questi motivi, esorbitante rispetto l’ambito di applicazione dell’art. 2055 c.c. è sia il caso in cui sia ravvisabile una concausa dotata di rilievo causale esclusivo ex art. 41, comma secondo, c.p., sia la differente situazione in cui le condotte illecite abbiano prodotto distinti eventi di danno (Cass. n. 1842/2021).

Secondo la Cassazione, nel caso di specie, la Corte d’Appello di Milano non ha fatto mal governo dei principi sopra enunciati nella parte in cui, aderendo alle conclusioni della c.t.u., ha rilevato come gli effetti dannosi verificatisi in capo alla parte danneggiata siano “la conseguenza di un iter complesso caratterizzato in ogni suo step da episodi tra loro collegati di malpractice, i quali hanno concorso a determinare la lesione alla salute della Sig.ra Caia ”. Ponendo l’accento sull’unicità del fatto dannoso, infatti, la Corte territoriale ha individuato nelle condotte colpose dei nosocomi degli antecedenti causali ugualmente concorrenti (nessuno dei quali da solo sufficiente ex art. 41, comma secondo, c.p.) alla produzione del danno.

In parte infondata e in parte inammissibile è, poi, stata ritenuta la censura che investe la mancata ripartizione delle responsabilità ai sensi dell’art. 2055 c.c. poiché è ’ principio consolidato (Cass. n. 6400/1990; Cass. n. 31066/2019) che, in tema di responsabilità da fatto illecito, qualora il danno sia imputabile a più persone, il giudice può fare ricorso alla presunzione di uguaglianza delle colpe di cui all’ultimo comma dell’art. 2055 c.c. solo in presenza di una situazione di dubbio oggettivo e reale, configurabile quando non sia possibile valutare neppure approssimativamente la responsabilità la misura delle singole responsabilità.

Secondo la Cassazione la Corte d’Appello si è attenuta a siffatto principio di diritto, avendo accertato  che la pari responsabilità dei nosocomi sussisteva, poiché, alla luce di quanto emergente dalla c.t.u. medico-legale, non si poteva giungere ad una graduazione delle colpe in ragione del fatto che “l’evoluzione finale della patologia da cui è affetta Caia è secondaria al concorso di una serie di situazione cliniche tra loro interconnesse”, che non consentiva “una precisa distinzione tra le conseguenze riconducibili all’una o all’altra delle fasi di cura”.

La prova presuntiva del danno da lesione del rapporto parentale da parte del congiunto della vittima principale.

I nosocomi hanno, infine, lamentato la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1223 c.c. per aver la Corte d’Appello erroneamente accolto la domanda di risarcimento del danno parentale e del danno patrimoniale in favore di Tizio, nonostante che questi non avesse allegato, in maniera circostanziata, e provato in giudizio uno dei due presupposti della domanda, cioé l’“effettività e consistenza della relazione” affettiva.

Anche tale doglianza è stata ritenuta infondata dalla Suprema Corte.

Secondo la Cassazione, infatti, i familiare di una persona lesa dall’altrui condotta illecita può subire un pregiudizio non patrimoniale che può assumere il duplice aspetto della sofferenza soggettiva e del conseguito mutamento peggiorativo delle abitudini di vita, la cui prova può essere data anche mediante l’allegazione di fatti corrispondenti a nozioni di comune esperienza, e che deve essere integralmente risarcito, ove ricorrano i caratteri della serietà del danno e della gravità della lesione (tra le altre: Cass. n. 11212/2019; Cass. n. 28220/2019; Cass. n. 28989/2019; Cass. n. 25843/2020).

Tra i parametri da valutare ai fini dell’apprezzamento della serietà del danno da lesione del rapporto parentale – e, dunque, rientrante nel meccanismo della prova presuntiva – v’è il requisito della maggiore o minore prossimità formale del legame parentale: in particolare, ove il danno sia stato cagionato ad un soggetto rientrante nelle tradizionali figure parentali nominate (coniuge, convivente, figlio, genitore, sorella, fratello, nipote, ascendente, zio, cugino) allora la gravità del danno potrà essere provata attraverso un meccanismo di carattere presuntivo che, tuttavia, ammette la prova contraria circa l’assenza sul piano sostanziale ed effettuale del legame affettivo, la cui lesione è oggetto di risarcimento.

Di tale alleggerimento dell’onere probatorio, ragionevole con riferimento alle figure parentali nominate, non può tuttavia giovarsi colui il quale agisce per il risarcimento del danno da lesione del rapporto parentale al di fuori delle tradizionali figure parentali nominate: nei casi di legami parentali nominati, ma di minore prossimità, ovvero di rapporti non nominati ma caratterizzati da un legame affettivo rilevante sul piano fattuale, infatti, l’accoglimento della pretesa risarcitoria richiede l’assolvimento di un onere probatorio di carattere pieno attraverso cui si dimostri la stabilità e l’effettività del rapporto di affectio, la cui integrità è stata lesa dalla condotta illecita altrui (Cass. n. 28989/2019).

Afferma la Cassazione che la Corte d’Appello, nel riconoscere il risarcimento del danno parentale in favore di Tizio, ha correttamente applicato i suddetti principi.

In particolare, il rapporto di coniugio con Caia rientra nell’alveo di quei legami di parentela nominati sopra menzionati che, essendo caratterizzati da una intima prossimità parentale, non necessitano della piena prova dell’esistenza dell’affectio ai fini della liquidazione del danno in esame: esso, dunque, potrà essere dimostrato in via presuntiva, salvo in ogni caso prova contraria.

Rileva, infine, la Suprema Corte che la Corte d’Appello ha ulteriormente evidenziato che il requisito della “effettività e consistenza della relazione deve ritenersi soddisfatto dalla circostanza che i due coniugi erano sposati e conviventi”, precisando, altresì, come tale «rapporto di coniugio appare caratterizzato da un’intensa “affectio”, resa manifesta dalla continua assistenza prestata da Tizio nel corso della lunghissima e tormentata vicenda che ha interessato la moglie, ad esempio, durante i numerosi ricoveri ospedalieri e gli interventi chirurgici, nonché, quotidianamente, nel periodo di convalescenza».

Sicché, avrebbe dovuto essere onere dei nosocomi danneggianti (non assolto nella specie) fornire la prova contraria dell’assenza di stabilità e intensità – sul piano fattuale – del legame affettivo tra i due coniugi, tale da non giustificare la liquidazione del danno da lesione del rapporto parentale in favore di Tizio.